A soli tre mesi dall’inizio del mandato, Naoto Kan è stato riconfermato primo ministro nelle elezioni partitiche, battendo il suo rivale Ichiro Ozawa con 412 voti contro 400. Risultato tutt’altro che scontato per via della crisi di popolarità che l’esecutivo giapponese ed il Partito Democratico al governo stanno attraversando. Tra i Grandi elettori, Ozawa ha raccolto 491 voti, mentre Kan ha totalizzato 721 preferenze interne al Partito. “Ringrazio moltissimo tutti: gli iscritti, i consiglieri, i parlamentari e soprattutto il popolo giapponese”, ha detto il premier subito dopo la proclamazione del risultato. Ha poi aggiunto: ”Ora il Giappone si trova in un momento molto difficile e dobbiamo lavorare tutti insieme al massimo”. Il primo ministro in quest’ultima dichiarazione ha fatto riferimento alla questione ancora aperta della base di Okinawa, ma anche ad altri problemi endemici che il paese affronta: la crisi economica, l’invecchiamento della popolazione, l’alto tasso di suicidi e di individui depressi, i difficili rapporti con la Cina dopo l’ultimo incidente diplomatico avvenuto nelle Isole Senkaku (a causa di un peschereccio cinese che avrebbe speronato due motovedette giapponesi) lo scorso 8 settembre. La popolarità del primo ministro, tuttavia, starebbe attraversando un periodo non florido già dai primi giorni di luglio, poco prima delle elezioni della Camera Alta del Parlamento nipponico.
L’elezione del presidente del Partito è strutturata attraverso un sistema che prevede un totale di 1222 punti nell’elezione annuale. Nel Parlamento sono presenti 411 parlamentari del Partito Democratico (DPJ), ognuno dei quali ha a disposizione 2 punti. Il totale di 400 punti risulta dai voti provenienti dai membri dell’assemblea locale (100), e dai sostenitori del partito (300).
In base ai sondaggi del quotidiano Yomiuri, i sostenitori di Ozawa ritenevano che egli sarebbe stato l’uomo nuovo, adatto per le sue capacità di guida e per le sue conoscenze in ambito economico alla nuova reggenza dell’esecutivo. Entrambi i candidati nella loro campagna elettorale hanno cercato in maniera anche piuttosto aggressiva di conquistare la benevolenza dei votanti più indecisi, che ammontavano a 72, mentre i sostenitori di Kan sarebbero stati 168 e quelli di Ozawa 171. Entrambi hanno promesso elevata autonomia finanziaria ai governi locali e un accordo con la Dieta per il decentramento da concludere nel più breve tempo possibile.
La vittoria di Kan ha consentito allo yen di risalire la china e di superare, dopo quindici anni, il valore il dollaro. La mossa interna al Partito Democratico Giapponese, e la sconfitta di Ozawa, sarebbe apparso alla comunità internazionale come di buon auspicio dal punto di vista economico. Anche le Borse asiatiche, a causa di una fluttuazione che dura da diversi giorni, hanno fatto un sospiro di sollievo. Il dollaro è infatti giunto a costare 83,36 yen il 14 settembre, in netto calo rispetto al giorno precedente durante il quale ammontava a 83,71 yen. Alcune ore prima la valutazione aveva toccato il picco di 83,25 yen per dollaro, il punto più favorevole dal maggio del 1995. L’index MSCI dell’Asia Pacifico avrebbe guadagnato 0,3 punti percentuali, toccando quota 124,15. Secondo gli analisti, ciò è accaduto poiché si sono abbassate le possibilità di una svendita di yen in borsa, manovra promessa dal candidato Ozawa. Kazuya Yashiro, analista alla Himawari Securities Inc., spiega: “Kan dimostra un atteggiamento meno aggressivo del rivale nella questione valutaria. La sua vittoria ha dato una possibilità in più di crescita per lo yen”. Nonostante ciò, l’indice Nikkei è sceso dello 0,24% a 9,299,31 punti, mentre il Topix dello 0,33% a 834,87. Ciò proprio a causa della crescita improvvisa della moneta giapponese.
Il Giappone e il vuoto di potere
L’elezione del primo ministro in Giappone costituisce un elemento distintivo della salute dell’emisfero politico del paese, e da qualche anno risulta addirittura ripetitivo, sicuramente in controtendenza con la tradizione del Sol Levante: il vuoto di potere che attanaglia il governo da quattro anni, dall’addio di Koizumi, ha portato all’elezione di ben 6 primi ministri, includendo in questo calcolo l’ultimo ballottaggio che ha visto contrapporsi Ozawa e Kan. Inoltre, da quando Hatoyama ha interrotto la lunga egemonia del Partito Liberal-Democratico (LDP) vincendo le elezioni nell’agosto del 2009, quest’ultima è la terza elezione a verificarsi.
L’opinione pubblica è determinante nell’elezione del primo ministro e per il supporto al governo in carica. Koizumi rimase in carica per un periodo di tempo abbastanza lungo proprio perché era il supporto popolare a far sì che egli mantenesse il potere. Così come il suo successore dell’LDP rassegnò le dimissioni per un calo di popolarità, cosa che accadde anche ad Hatoyama, nonostante la sua dirigenza fosse abbastanza solida nella Camera Bassa. Un professore universitario di Tokyo ha teorizzato due soglie percentuali che dovrebbero rappresentare dei campanelli d’allarme per la popolarità del primo ministro: il 30% come prima spia, e il 20% come ultimo gradino, al di sotto del quale si apre la crisi di rappresentanza. Negli ultimi anni, raggiungere queste soglie per i Primi Ministri si è rivelato abbastanza semplice, a causa di una coscienza civica che viene a mancare sempre più tra le fila delle nuove generazioni, ma anche in dipendenza delle misure economiche sempre più restrittive adottate dai governi in carica.
Attualmente il governo giapponese non ha basi solide, né tantomeno tradizione di continuità legislativa e procedurale, a causa delle dimissioni di Hatoyama presentate in un tempo troppo rapido e dall’atteggiamento molto irruento di Kan. È anche vero che cambiare la cultura politica radicata all’interno del paese non è affatto semplice, specie alla luce di alcuni interessi che persistono e alla breve permanenza sugli scranni del governo del DPJ.
A luglio, in assenza del supporto di Ozawa, il DPJ ha perso diversi consensi all’interno della Camera Alta, tanto che è venuta a crearsi una situazione meglio conosciuta come nejire kokkai, ossia un governo diviso in cui il partito al governo perde la maggioranza nella Camera Alta, rendendo così difficile la procedura legislativa. Ciò ha scatenato diverse critiche tra le forze anti-Kan e tra i sostenitori di Ozawa, e ha messo alla berlina Kan per la pessima performance elettorale del partito.
Tra i due, Kan simbolizza il nuovo stile di fare politica: fedele ad un approccio popolare e alla ricerca della rappresentanza da parte degli elettori, è il contraltare di Ozawa, legato invece al vecchio modo di fare politica e di legiferare, spesso influenzato dai forti poteri economici. Ciò che accomuna i due candidati è la dura opposizione allo stile burocratico dell’LDP, e la ricerca di politici responsabili per la messa in atto delle decisioni politiche.
Prima del voto, Ozawa era sfavorito a causa del suo coinvolgimento in alcune beghe finanziarie e per la violazione di alcune leggi riguardanti l’utilizzo dei fondi del governo, che potrebbero condurre ad un processo se le prove presentate venissero dichiarate attendibili. Kan d’altro canto gode, dinanzi all’opinione pubblica, della reputazione di uomo politico pulito, non corrotto ed impegnato per la difesa dei diritti civili, sociali e politici dei cittadini.
Il Giappone ad oggi
Kan deve tuttavia conquistare ancora la fiducia del centinaio di deputati che hanno votato a favore di Ozawa. Ulteriore punto all’ordine del giorno per Kan sarà risolvere definitivamente l’incidente diplomatico verificatosi l’8 settembre al largo delle isole Senkaku, giorno in cui un peschereccio cinese aveva speronato due motovedette della marina nipponica e il suo capitano Zhan Qixiong era stato incarcerato. La scarcerazione è avvenuta 16 giorni dopo, in seguito alle pressioni provenienti in particolare dalla Cina, che avrebbe costretto Tokyo a rilasciare il capitano dopo l’incarcerazione di quattro cittadini nipponici incriminati di spionaggio all’interno dei confini cinesi, ma in particolare dopo che la Cina ha cessato la fornitura di gas stringendo il paese del Sol Levante nella morsa energetica. E ancora: la decisione cinese di non vendere più a Tokyo minerali utili alla produzione di auto elettriche, settore fondamentale per l’economia nipponica, avrebbero influenzato molto la scelta del governo giapponese. Le critiche nei confronti della decisione di liberare il capitano del peschereccio sono state molto dure, provenienti in particolare da alcuni leader politici conservatori e dal governatore di Tokyo, Shintaro Ishihara, il quale ha dichiarato che “il governo non ne esce bene” e che “ ci sono interessi in gioco, scambi economici e turismo. Ma esiste un’altra valuta che è il bene del Paese”.
La situazione interna al Giappone presenta decisamente delle falle non trascurabili che colpiscono anche la popolazione ed il contesto sociale in cui versa. Accanto all’invecchiamento della popolazione, l’Istituto nazionale giapponese per la ricerca e la sicurezza sociale ha pubblicato i nuovi dati riguardanti l’aumento dei suicidi e della depressione. Un dato già scioccante di per sé, che ha rivelato che i costi necessari per arginare o curare il fenomeno ammonterebbero a 2.680 miliardi di yen nel 2009, pari a 25 miliardi di euro. Il ministro della Salute, Akira Nagatsuma, si mostra preoccupata, impegnandosi ad attivare nuove misure per arginare il fenomeno.
Kan dovrà confrontarsi con il suo gabinetto anche per quanto riguarda la legislazione vigente nel paese riguardante la pena di morte. Il 28 luglio scorso, infatti, sono state eseguite le prime condanne a morte dal settembre 2009. Il ministro della Giustizia, Keiko Chiba, da sempre attivista contro la pena di morte, ha dichiarato di aver presenziato all’esecuzione dei due condannati, Kazuo Shinozawa e Hidenori Ogata, accusati di omicidio plurimo. Chiba ha poi affermato di voler coinvolgere i mezzi d’informazione per visitare la camera della morte del carcere di Tokyo e per promuovere una campagna di sensibilizzazione in grado di far riflettere la popolazione sull’uso di questa pratica sanzionatoria. È infatti di primaria importanza per il ministro e per tutto il governo che sia la popolazione a pronunciarsi in merito e, nel caso, a dare il via ad un referendum.
* Alessia Chiriatti è dottoressa in Sistemi di comunicazione delle relazioni internazionali (Università per stranieri di Perugia)