Fonte: Strategic Culture Foundation
31/08/2010
Il Presidente dell’Honduras Manuel Zelaya è stato deposto poco più di un anno fa, con un colpo di stato messo in scena dall’oligarchia locale e dalla comunità dell’intelligence statunitense. Il golpe è avvenuto in punizione per l’allineamento di Zelaya con H. Chavez ed altri leader populisti latino americani. Da tempo, il flusso di notizie provenienti dall’Honduras abbonda di storie di assassini politici, le vittime sono militanti delle organizzazioni sindacali, contadine e studentesche, e del Fronte della Resistenza Nazionale Popolare, oppositore del regime filo-Usa di Porfirio Lobo. Dieci giornalisti che hanno espresso sostegno all’ex presidente dell’Honduras sono stati uccisi, solo quest’anno.
Il caso più recente è stato l’omicidio di Israel Zelaya, 56 anni, rapito da un gruppo armato che ha facilmente attraversato in auto numerosi posti di blocco della polizia istituiti come parte della campagna di stretta sicurezza. Il giornalista è stato portato in un luogo appartato, torturato e fucilato due volte alla testa e una volta – nel petto.
Decine di episodi analoghi dimostrano che un programma di “pulizia politica” è in corso in Honduras. Killer scelgono selettivamente come target potenziali leader capaci di galvanizzare i manifestanti. La Leader contadina Maria Teresa Flores, 50 anni, è stata la coordinatrice del Consiglio delle Organizzazioni dei contadini dell’Honduras e fautrice di una riforma agraria, comprendente l’abolizione dei latifondi e la creazione di cooperative rurali. Lei è stata rapita, e una settimana dopo il suo corpo crivellato con numerosi di colpi di machete e una mano mozzata, è stato trovato sul ciglio della strada, nel dipartimento di Comayagua.
Solo una piccola parte dei casi di omicidi politici, in Honduras, viene ampiamente conosciuta. Le operazioni sono eseguite in segreto, da squadroni della morte appositamente formati e pagati generosamente, composti da agenti di polizia, banditi, assassini professionisti di origine honduregna o trasportati dalla Colombia. In questi giorni, fosse comune di oppositori del regime attuale in Honduras, vengono scoperte sempre più spesso. Si tratta di un modello consolidato con cui gli omicidi politici si diffondono ovunque gli Stati Uniti “aiutano a ripristinare la democrazia“. Berta Oliva, presidente del Comitato dei parenti dei detenuti e desaparecidos dell’Honduras, ha detto ai media, qualche giorno fa, della scoperta di un’altra fossa comune con i corpi di oltre 100 persone risultanti disperse in giugno-agosto, cioè dopo il colpo di stato che ha portato P. Lobo al potere.
Il Leader del Fronte Nazionale di Resistenza Popolare (FNRP) Carlos H. Reyes accusa che le decisioni di uccidere i leader dell’opposizione sono prese al livello più alto dell’amministrazione honduregna, con il coinvolgimento diretto dei funzionari chiave dell’ambasciata degli Stati Uniti. Non è esagerato ritenere che il terrore preventivo attuato dallo Stato, è una pratica apertamente appoggiata da Washington. Invocando casi di omicidi dei nemici degli Stati Uniti, in Asia e in Africa, il New York Times ha riportato il 15 agosto la geografia e la scala delle guerre segrete della CIA “contro i terroristi“, ancor più estesa, sotto B. Obama, rispetto a quello che l’agenzia ha potuto fare con G. Bush. L’articolo non conteneva alcuna menzione degli omicidi in America Latina, ma è un segreto noto a tutti che le operazioni della CIA che puntano contro i regimi ostili agli Stati Uniti, in Venezuela, Bolivia, Nicaragua ed Ecuador, sono in pieno svolgimento. Seri sforzi sono stati fatti per rafforzare le reti sovversive terroristiche in questi paesi, in cui gli agenti stanno ricevendo un intenso addestramento in loco.
Lottando contro le insurrezioni dell’America centrale e i gruppi della guerriglia negli anni ‘60–‘80, il Pentagono e la comunità dell’intelligence statunitense hanno sviluppato approcci efficaci della “lotta al terrore“. La priorità era data al decapitare i gruppi e alla neutralizzazione delle loro basi di sostegno. In quell’epoca, i contadini e gli indiani erano sistematicamente intimiditi, costretti a fuggire o addirittura uccisi in massa nelle regioni in cui l’attività della guerriglia si intensificava. I metodi sono stati poi presi in prestito dall’esercito colombiano e applicato, sotto la guida dei consiglieri degli Stati Uniti, in un conflitto interno al Paese, per minare le potenzialità delle FARC e dell’ELN. Finora non vi sono gruppi di guerriglia in Honduras, e l’amministrazione honduregna si affida silenziosamente agli onnipresenti squadroni della morte – che agiscono sotto la supervisione del personale dell’ambasciata statunitense – per sterminare l’opposizione.
La grossa missione degli Stati Uniti, opera a Tegucigalpa come un governo honduregno parallelo de facto, in gran parte mette in secondo piano quello ufficiale. L’ambasciatore statunitense Hugo Llorens, nominato sotto G. Bush, artisticamente gioca il ruolo di diplomatico onesto del tutto estraneo al colpo di stato che portò alla cacciata del legittimo presidente dell’Honduras. Llorens può contare sulla comprensione di Lobo quale nuovo presidente dell’Honduras, che è molto attento alle iniziative di Washington e prontamente ha preso le distanze dai regimi populisti dell’America Latina. E, naturalmente, Lobo respinge il progetto di integrazione ALBA e il “socialismo del XXI secolo” di H. Chavez e – per la tranquillità di Washington – respinge senza riluttanza i convenienti sconti energetici con il Venezuela, nonostante il danno derivante per l’economia honduregna.
I diplomatici militari statunitensi – l’attaché militare colonnello Robert W. Swisher, il comandante del Special Tactics Group colonnello Kenneth F. Rodriguez, l’ufficiale di collegamento della base aerea di Palmerola Steve Argenthal, e altri – sono noti per aver aiutato molto il governo dell’Honduras. Alcune decine di agenti dei servizi segreti militari USA spiano il Fronte Nazionale di Resistenza Popolare honduregno, in collaborazione con altro personale della comunità dell’intelligence degli Stati Uniti, operante con la copertura della Ambasciata degli Stati Uniti, i Peace Corps, la DEA, ecc. La stazione della CIA in Honduras è guidata dalla consigliera politica dell’ambasciata USA Silvia Eiriz, è al comando delle attività.
Ci sono ovvie ragioni dietro il coinvolgimento di Washington nella crisi dell’Honduras. Il rovesciamento di Zelaya ha fermato la deriva dell’Honduras verso un’alleanza strategica con i regimi populisti dell’America Latina, ma la resistenza si va intensificando, grazie ai sostenitori del presidente deposto, con cui è probabile che l’amministrazione Lobo debba affrontare dei seri problemi. L’Alternativa Patriottica di Zelaya e la minaccia di scioperi a livello nazionale, evidenziano l’inettitudine dell’attuale governo honduregno.
Per Washington, il ritorno di Zelaya significherebbe una nuova cefalea. Il Segretario generale dell’Organizzazione degli Stati Americani, José Miguel Insulza, spera di vedere Zelaya reintegrato per prevenire l’emergere di un precedente che permetta alla destra di cacciare un presidente legittimo fuori dal proprio paese. Zelaya sta facendo quello che può, per preparare il ritorno: presenta un appello ai media dell’Honduras quasi su base giornaliera, chiamando all’unità dei manifestanti e a confutare le accuse mosse contro di lui da parte dei media statunitensi.
Al momento il funzionario e le amministrazioni ombra dell’Honduras bombardano di accuse Zelaya. Presumibilmente, ha sottratto milioni di dollari distribuiti in Honduras dal Venezuela come aiuti economici. Non c’è chiarezza su ciò che è successo alla sua personale Lexus presidenziale e ad alcune parti del bilancio della sua amministrazione. Zelaya è consapevole che in caso di suo ritorno in Honduras, dovrà difendersi in tribunale.
L’ondata di terrore in Honduras, è un altro fattore con cui Zelaya deve fare i conti con. E’ l’obiettivo numero uno per gli squadroni della morte, che lo minacciano, attraverso vari canali, avvertendo che ritornare a casa sarebbe un grande rischio.
Al momento Zelaya ha lo status di ospite nella Repubblica Dominicana. Per Washington, lo scenario ottimale sarebbe il consenso di Zelaya a rimanere dove si trova – nella fantasia località La Romana, frequentata da milionari e idoli pop. Zelaya non si arrende, però, mantiene i contatti con i leader populisti, e ignora la contrarietà di Washington. Con l’aiuto di Chavez, Zelaya è diventato il coordinatore responsabile della salvaguardia dell’indipendenza e della democrazia di Petrocaribe. Mantenendo tale carica, è più facile per lui recarsi nella regione e promuovere il Fronte Nazionale di Resistenza Popolare.
Gli agenti della CIA nella Repubblica Dominicana sorvegliano Zelaya giorno e notte, inviano a Langley rapporti con i dettagli dei suoi incontri, telefonate ed e-mail. La sezione politica dell’Ambasciata degli Stati Uniti – A. Margulis, T. Fitzgibbons, e A. Norman – mette la raccolta delle informazioni su Zelaya e sui suoi contatti con Chavez, in cima alla propria agenda. Zelaya è circondato da agenti della CIA e da sofisticati sistemi di sorveglianza, e la polizia dominicana fornisce prontamente informazioni agli Stati Uniti. Il capo della polizia dominicana, Gen. R.G. Gusman è considerato dalla CIA un partner, e gode della sponsorizzazione dell’agenzia. In un paio di decenni, i giornalisti probabilmente scopriranno le donazioni personali della CIA al Gen. Gusman. Alcune prove si trovano già nei media: la polizia riceverà 3 milioni di dollari per la lotta contro il traffico di droga e altri tipi di criminalità, più 250 mila dollari per acquistare computer e attrezzature varie.
La CIA potrebbe facilmente spendere somme ancora maggiori di denaro per assicurarsi che Zelaya stia fuori dall’Honduras. Il doppio standard degli Stati Uniti, nella lotta al terrorismo, è una conoscenza comune, e per Washington, guerre e provocazioni sono strumenti accettabili nei giochi politici. E’ probabile che Zelaya sia già segnato da una macchia nera (Black Spot) della CIA, e che una squadra di addetti alle pulizie sia in attesa del momento giusto…
Traduzione di Alessandro Lattanzio
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